IL TEATRO DELLE OMBRE | Intervista a Fabrizio Milani

17/04/2019 Off By Tecla
IL TEATRO DELLE OMBRE | Intervista a Fabrizio Milani

Dal 12 aprile al 28 maggio 2019 la Galleria Moitre di Torino ospita la personale di Fabrizio Milani a cura di Simona La Neve. Il giovane artista presenta un progetto installativo, che riporta in auge un’antica forma di spettacolo: il teatro delle ombreUna palma, una scala e una cascata meccanica è una mostra interattiva, dove il pubblico recita il ruolo di protagonista.

Una palma, una scala e una cascata meccanica

Ti va di raccontarmi la tua mostra alla Galleria Moitre di Torino?

Sì, la palma, la scala e la cascata meccanica sono i tre oggetti che danno il titolo alla mostra. Fanno tutti parte di un set teatrale, che ho allestito nella prima stanza della galleria. Da una parte il set è illuminato da un faro di scena, mentre dall’altra è coperto da una barriera in PVC. In questo modo il pubblico vede all’ingresso un teatro delle ombre, prodotto dagli oggetti del set e dai visitatori che si muovono al suo interno.

Per Una scala, una palma e una cascata meccanica ho creato un ambiente che ricorda il clima delle vacanze. Infatti vediamo una luce simile a quella di un tramonto, una palma in parte vera e altri oggetti colorati che trasmettono questa sensazione. È un allestimento scenico, a metà strada tra il reale e l’artificiale, che racconta una storia. Infatti si ispira alla finzione del teatro e della televisione.

La cascata meccanica è il fulcro dell’opera. In essa scorrono delle immagini molto pop: il logo di Batman e quello di Superman, le gambe delle Pin-Up… Tutti simboli del secolo breve, del superuomo e del sogno americano, che ormai è finito. E che quindi si perdono, precipitano nel vuoto.

La scala è in contrapposizione alla cascata, c’è la salita e poi la discesa. L’ho messa di fronte alla luce, così viene coperta dallo spettatore quando ci sale sopra.

Infine ci sono delle maschere che il pubblico può indossare: il maiale, il coniglio e Superman. Sono le forme che si riproducono durante il gioco delle ombre. Ho scelto di rappresentarle attraverso la maschera, perché è l’elemento principale del teatro.

Il laboratorio dell'artista

Cosa c’è invece nella seconda stanza?

C’è il laboratorio, la stanzetta dove l’artista crea le sue opere. È il magazzino se vogliamo, la stanzetta del coreografo, lo studio dell’inventore matto… Questi sono i miei oggetti: la box che utilizzavo per i ritratti fotografici, le ceramiche che ho fatto in passato e il set che usavo nel mio teatro delle ombre. 

Inoltre c’è una foto-manifesto, composta da 8 poster incollati sul muro. L’immagine mostra una parte del mio studio: l’ex ditta dove lavoro. Il proprietario ci tiene i limoni d’inverno. È la prima fotografia che mi ha fatto pensare al teatro delle ombre. Il teatro è sempre il mezzo sensibile per arrivare ad altro. Per questo l’ho voluta in mostra, anche se non c’entra nulla con il resto.

Il teatro delle ombre

Quando hai iniziato a pensare al teatro delle ombre?

Da quando ho finito l’Accademia a Firenze. A quel tempo lavoravo con la scultura e la ritrattistica, ero un artista classico. La mia formazione era molto artigianale, perché ancora oggi le accademie italiane formano artigiani. Mi mancava tutta la parte di ricerca concettuale, e dopo cinque anni ho deciso che volevo altro.

Ma già nel 2012, quando entrai in questa ditta, mi venne in mente di realizzare un teatro delle ombre. Infatti questa fotografia mi è rimasta indelebile. Ho scelto di ispirarmi al teatro, perché è un mezzo sensibile fortissimo. E per “sensibile” intendo che coinvolge tutti i sensi, proprio come il circo.

Utilizzo i mezzi del teatro per riprodurre qualcos’altro, ad esempio i ricordi o il gioco, e trasfiguro lo spazio. Lo faccio semplicemente perché noi viviamo e lavoriamo in uno spazio. Perciò mi piace creare una situazione dentro un contesto che cambia, quando il visitatore entra a farne parte.

Una mostra interattiva

Dunque come vedi il rapporto tra la tua opera e lo spettatore?

Lo spettatore è parte attiva dell’opera, può fare ciò che vuole. Mi piace studiare le sue reazioni all’interno dello spazio che vado ogni volta a creare. Il problema è che il pubblico è stato educato dai musei a non toccare le opere d’arte. Anche se con il tempo questo atteggiamento sta cambiando.

Questa sera ad esempio ho visto un ragazzo che è entrato in mostra e si è messo subito la maschera, senza chiedere niente a nessuno. Un gesto del genere, così spontaneo e inaspettato, è già un sogno!

Forse per invitare le persone a toccare l’installazione dovrei scrivere dei cartelli. Ma in questo caso metterei delle istruzioni: cosa può fare il visitatore e cosa no. Quindi preferisco che sia quest’ultimo a scegliere come interagire con gli oggetti esposti.

Note

(1) L’intervista mi è stata rilasciata da Fabrizio Milani il 12 aprile 2019.