RINOCERONTE ARMATO E PRONTO AL FUOCO | Intervista a Bolo

06/04/2019 Off By Tecla
RINOCERONTE ARMATO E PRONTO AL FUOCO | Intervista a Bolo

Dal 9 marzo al 14 aprile 2019 il Mercato Centro Culturale di Argenta (1) ospita la personale dello street artist Alessio Bolognesi, in arte Bolo. L’evoluzione mi fa specie è il titolo di questa fantastica mostra che non ci lascia indifferenti sulle problematiche ambientali.

Infatti, presi come siamo dalla quotidianità, spesso non ci rendiamo conto del male che stiamo facendo al nostro pianeta. Secondo le stime attuali perdiamo qualche decina di specie ogni giorno e al 70-80% la colpa è dell’uomo. Attraverso l’ironia e la commozione, Bolo ci apre gli occhi su un tema drammaticamente attuale.

L'evoluzione mi fa specie

Spiegami l’argomento della tua mostra, partendo dal significato del titolo: “L’evoluzione mi fa specie”.

In maniera molto semplice la mostra parla di quanto facciamo schifo noi esseri umani. Il suo scopo è ricordarci il male stiamo facendo al mondo in cui viviamo e, di conseguenza, a noi stessi. Il percorso espositivo è suddiviso in tre sale, due principali ai lati e una centrale che funge da raccordo.

Nella prima sala troviamo la serie (R)EVOLVE(R), che parte dall’atomo di carbonio, da cui ha avuto origine la vita sulla Terra, e prosegue via via con creature sempre più evolute. Si passa ai primi batteri agli insetti, poi agli invertebrati, fino ad arrivare ai grandi mammiferi che imparano il peggio dall’essere umano. Questi ultimi per sopravvivere imbracciano le armi che normalmente usiamo contro noi stessi: mitragliatrici, bombe e carri armati. 

È un’interpretazione ironica, se vogliamo. Infatti si è solito dire: “Se gli animali potessero parlare, che cosa direbbero?”. Io invece mi sono chiesto: “Se gli animali potessero usare le armi, che cosa farebbero?”. I disegni di (R)EVOLVE(R) mostrano dunque questi animali incazzatissimi che si ribellano all’uomo. Ci combattono per riuscire a salvare il proprio habitat, il loro mondo.

La seconda sala presenta un tema più serio e riflessivo. La serie si intitola Un mare di plastica e denuncia l’inquinamento che distrugge la fauna marina. Ad esempio c’è questo cucciolo di foca che compare due volte nel disegno: nella prima ha gli occhi aperti ed è in piena salute; nelle seconda invece è ritratto agonizzante con gli occhi chiusi e il muso intrappolato in un pezzo di tubo. 

Sono tutti dittici o trittici che mostrano da un lato l’animale in libertà e dall’altro morente con l’organismo colmo dei rifiuti plastici che ha ingerito. Per le tartarughe ad esempio il problema maggiore è rappresentato dalle reti dei pescatori, si intrappolano e non riescono più a liberarsi. 

Il fil rouge delle due serie è sempre lo stesso: il danno che stiamo facendo al pianeta. Solo che in (R)EVOLVE(R) il tema è espresso in modo più ironico, mentre in Un mare di plastica è più cupo.

La terza sala espone l’installazione con il bassotto-sottomarino della serie (R)EVOLVE(R). Ho immaginato questa creatura lunghissima che si trasforma in varie cose: in armi che hanno a che fare con la ribellione e in altre creature che rappresentano uno stadio successivo dell’evoluzione. 

Infine c’è la serie Memento Mori formata da 15 carte, suddivise in gruppi di tre, in cui ho associato armi da taglio e teschi di animali estinti o invia di estinzione accanto a fiori bianchi. Questi ultimi sono le offerte sulle loro tombe. 

Il rapporto con l'antico

Le tre serie di “L’evoluzione mi fa specie” si distinguono anche per la scelta delle tecniche e dei materiali.

Sì, per ogni serie ho utilizzato tecniche miste e supporti differenti. I due grandi pannelli che introducono alle sale principali, il Mammut che distrugge la città di (R)EVOLVE(R) e l’Orca di Un mare di plastica, sono a spray e vernice ad acqua.

Dopodiché per gli altri animali di (R)EVOLVE(R) ho lavorato su carte antiche del territorio ferrarese. Sono documenti catastali o di archivio del 1820-70 salvati dal macero. Uso questo materiale da 4 o 5 anni. Mi piace molto il contrasto tra la carta scritta in bella calligrafia e un disegno più contemporaneo. 

Inoltre per questa serie ho recuperato delle vecchie assi di legno con cui ho realizzato le cornici, proprio come si faceva nelle botteghe del passato.

Per Un mare di plastica invece ho preferito utilizzare un supporto classico. Sono tutti acquerelli e chine su carta bianca. Qui il contrasto è dato da una parte a colori abbinata a un disegno a tratteggio in bianco e nero.

Da ultimo la serie Memento Mori è composta da disegni a penna su carta gialla, poi colorata con la biacca.

Più illustratore che pittore

È interessante come tu riesca ad adattare lo stile al supporto su cui lavori. Riesci a passare senza difficoltà dalle grandi dimensioni del muro a quelle della pittura da cavalletto. Un’abilità tutt’altro che scontata. Nel campo della street art come definiresti il tuo stile?

Per indole io non riesco a fare cose sempre uguali. Non sono uno che trova il suo stile e va avanti 20 anni a dipingere allo stesso modo. Proprio non ce la faccio, perché mi annoio. Quindi ogni tre per due sperimento qualcosa di nuovo. È chiaro che è sempre la mia mano che disegna. Però il fatto di lavorare con il colore piuttosto che con il bianco e nero oppure giocare con l’impaginazione delle immagini, cambia da serie a serie. Come stile sono forse più illustratore che pittore.

Invece per quanto riguarda il formato delle opere, alla fine adatto la dimensione al pennello. Sembra una sciocchezza, ma è così. Il tratto che faccio con una punta 05 su un foglio A5, lo faccio con un pennello di 3 centimetri su un muro. Per come la vedo io cambia veramente poco. È forse la voglia di sperimentare che mi spinge a mettermi sempre in gioco. La curiosità fa vincere la paura, no?

Uno spunto di riflessione

In genere l’artista non crea le opere solo per se stesso, perché desidera comunicare un messaggio. Cosa ti immagini percepisca il pubblico della tua mostra?

Premetto che io non dipingo mai per gli altri. Anche le opere di questa mostra, che affrontano un tema socio ambientale, sono nate perché ho visto delle immagini che mi hanno colpito e che ho deciso di ricreare.

Non mi preoccupo del fatto che i miei dipinti piacciano o che riescano a vendere. Ciò che desidero è dare al pubblico uno spunto di riflessione, in questo caso su un argomento molto vicino a noi.

Le persone possono vedere una cosa completamente diversa da quella che vedo io, ma questo non mi interessa. Viceversa suscitare in loro una sensazione emotiva, positiva o negativa, che stimoli il ragionamento è l’obiettivo del mio lavoro.

Note

(1) In origine era la sede del Mercato Ortofrutticolo di Argenta (FE), oggi riconvertita in centro culturale.

(2) L’intervista mi è stata rilasciata al telefono da Bolo il 12 marzo 2019.

(3) Le fotografie fanno parte dell’archivio dell’artista, che mi ha concesso di utilizzarle per questo articolo.